Genesi di cinque piatti iconici
Massimo Bottura è il cuoco più celebrato del pianeta. Non solo perché il suo ristorante è stato due volte in cima alla classifica dei migliori ristoranti al mondo, perché ha 3 stelle Michelin o perché il suo episodio su Chef’s Table di Netflix, quello con cui la serie ha debuttato, ha fatto oltre 25 milioni di visualizzazioni. Lo chef modenese ha un consenso universale per la bontà dei piatti che disegna ma soprattutto per il significato profondo che nasconde ognuno di questi.
Dietro a ogni suo piatto, c’è un’osservazione critica del passato, priva di nostalgia. C’è una sintesi di memoria e tecnica, lo sforzo di rendere visibile l’invisibile, trasformando le passioni in idee masticabili. Dietro il percorso che porta alla nascita dei piatti di Bottura c’è un attento processo di ricerca che parte dal territorio e dalla tradizione per trovare una strada originale. Un approccio che sposa anche Tenuta Luce con i suoi vini. Per questo l’abbiamo incontrato durante la stesura di Birth (che trovate a questo link), e ci siamo fatti spiegare la nascita di 5 tra i suoi piatti più iconici.
CINQUE STAGIONATURE DI PARMIGIANO REGGIANO IN DIVERSE CONSISTENZE E TEMPERATURE (1993) «Nel 1993, prima di aprire l’Osteria Francescana, gestivo la Trattoria del Campazzo. Cercai di concentrarmi su un piatto che potesse esprimere il nostro ’terroir’. In principio le consistenze di Parmigiano Reggiano del piatto erano tre: un demi-soufflé stagionato 24 mesi, una salsa calda 30 mesi e una galletta 40 mesi. Ne aggiungemmo presto una quarta, una spuma ghiacciata 36 mesi, montata al sifone. A ben vedere, l’ingrediente di questo piatto è uno solo: il tempo».
BOLLITO NON BOLLITO (2009) «Una mattina entrai in Osteria Francescana. Avremmo dovuto fare un bollito. Pancia, guancia, coda, lingua, testina di vitello, cotechino… Siamo proprio sicuri di voler bollire alla vecchia maniera tutto questo bendiddio? Non è che le nostre tradizioni a volte sono irrispettose degli ingredienti? Cuocemmo ogni taglio in un sacchetto sottovuoto e cominciammo faticosamente a definire temperature e tempi di cottura di ognuno. Dopo settimane avevamo trovato la quadra: il colore dei vari tranci di carne non era mai grigio ma sempre vivo. E vitamine, proteine e proprietà organolettiche erano preservate».
LA DAME ET SON CHEVALIER: LA PARTE CROCCANTE DELLE LASAGNE (2014) «Slow food e fast cars: Modena è la città del cibo “lento” (il Parmigiano, l’Aceto Balsamico Tradizionale…) e delle auto veloci (la Ferrari). Con questo piatto ho cercato di mettere assieme tecnica, velocità e leggerezza. Partendo da una riflessione: la parte più buona della lasagna è il suo bordo bruciacchiato e croccante. Questa lasagna ricorda le prese d’aria di una Ferrari: triangoli di pasta scottati in padella, alternati a strati di ragù e besciamella». Una vera quintessenza di lasagna.
OOPS! MI È CADUTA LA CROSTATA AL LIMONE (2014) Il dessert più celebre dell’Osteria Francescana è frutto del caso, di un incidente a lieto fine. «In un febbrile venerdì sera, al nostro sous-chef Taka cadde dal banco della pasticceria una crostata al limone, costruita con gli ingredienti del Sud Italia: limone, bergamotto, capperi… Vinto il disappunto, notammo che per terra si era formato un mosaico che incastrava i pezzi della crostata in frantumi e i cocci del piatto. Un poeticissimo pasticcio. Pensai all’opportunità che si annida nell’errore, all’artista Ai Weiwei che fa cadere un vaso di 2mila anni, al concetto di rottura come inizio. Da lì in poi decidemmo di servirla così».
IL PANE È ORO (2017) «Pane, latte e zucchero: erano gli ingredienti che mi facevano ammattire da bambino. Inizialmente ho unito crema frullata, filtrata e montata, molliche di pane caramellate e gelato di pane salato. Non bastava: occorreva dare alla ricetta un valore universale, che fosse visibile a tutti. Osservai il lavoro di Sylvie Fleury, l’artista svizzera che ama ricoprire d’oro oggetti di uso comune. Da qui pensammo di aggiungere un rivestimento dorato di zucchero fuso. Mettemmo in carta ’Il pane e oro’». Che oggi è molto più di un piatto: è il titolo dell’ultimo libro di Massimo Bottura (editore Phaidon/L’Ippocampo), un inno agli ingredienti scartati e sottovalutati della cucina italiana.