Venire alla Luce
Per gli appassionati che ne fanno richiesta, è ora possibile visitare la cantina di Tenuta Luce. Così, Martina Liverani, ideatrice e direttrice di Dispensa, è andata in visita a Tenuta Luce.
La sua non è stata una semplice visita alla cantina ma una vera e propria esperienza, l’occasione per rivivere, metaforicamente, il momento della nascita. Con il suo racconto, che potete trovare anche all’interno di Birth, ha infatti illustrato come una visita a Tenuta Luce – la camminata tra i vigneti, le esplorazioni attraverso il giardino, la visita alla cantina e, per finire, la degustazione dei suoi vini – possa essere l’occasione per aprirsi all’ascolto dei sensi, riscoprendoli e riscoprendo anche se stessi.
Quando nasciamo veniamo alla luce. Ma poi di questa esperienza visiva ed emozionale spesso non ci restano ricordi, forse perché a volte siamo troppo distratti per guardare e altre volte non vogliamo proprio vedere. Eppure, se in tutto ciò ci siamo già imbattuti da neonati privi di conoscenze, rifarlo da adulti, con tutti i sensi sviluppati e un bagaglio di esperienze e competenze acquisite, dovrebbe essere più facile. Voglio provarci. Per quanto ricordo, nascere ci impegna totalmente. È una questione di movimenti – mani, polsi, spalle, piedi, caviglie, fianchi, ventre, cuore, polmoni, muscoli e giunture – ed è una questione di sensi.
All’orizzonte si vede il mare Tirreno. Se spingo lo sguardo in lontananza mi sembra di toccarne l’azzurro. È laggiù, dopo tutto il verde di colline, boschi e vigneti. Nulla mi può distrarre perché c’è solo il silenzio. Chilometri di silenzio. Sono a 430 metri sul livello del mare, muovendomi sul galestro friabile dove spiccano vigne di Sangiovese. Qui il tramonto giunge davanti a me, sul mare, mentre l’alba sorge alle mie spalle, dietro i monti. Una geografia invertita rispetto al luogo in cui sono nata, che è sull’Adriatico. Lì il mare accoglie l’alba e la collina il tramonto. Oggi il vento è gelido. E anche il mare lo sarà. Sono nata in estate, all’ora di cena. Ma oggi ho deciso di nascere a pranzo e ho fame. Assaggio una zuppa di zucca, una di quelle che ho visto nell’orto. Arancione, profumata, calda, perfetta per invitarmi alla degustazione di vini eccezionali. Sorso dopo sorso li scruto, li annuso, li ascolto, li tocco, li bevo. Nascere in età adulta ha i suoi vantaggi.
E nascere in un giorno d’inverno chissà com’è? Provo a rivolgermi alle piante che incontro nel giardino. Sono cento specie diverse, qualcuna mi risponderà. Il Sedum, che ora ha fiori stupendi nonostante siano secchi, mi racconta la consapevolezza della propria bellezza in ogni stagione, per nulla invidioso dei colori estivi. Ogni pianta di questo giardino delle meraviglie richiede la mia attenzione. Dalla Santolina che, come me, ama l’estate ricoprendosi di fiori gialli, al timo strisciante e al cipresso alto nove metri, tutto è un caleidoscopio di colori, forme e profumi. Starei ore a parlare con voi, a sentire il vostro fruscio, a distinguere i vostri aromi. Ma devo scendere. Qualcuno mi chiama. Percorro una scala di pietra lavica simile a una spina dorsale. Ricordo tutto: la vista del mare, il terreno friabile, la vigna, il vento, il sole e il tempo che scorre, il colore del vino. La scala dorsale mi conduce giù fino alla cantina, il ventre del vino. Luce. Eccoti qua.